Montano Antilia
Il borgo è incastonato lungo le pendici del Monte Antilia, che si erge ad un’altezza di 1316 mt; il territorio declina verso le colline e le vallate del Lambro e del Mingardo.
Gode di una posizione favorevole, baciata dal sole in ogni ora della giornata, tanto che comunemente al toponimo Montano si dà il significato di fronte al sole. Questa posizione ha da sempre favorito l’agricoltura e la pastorizia, determinando la produzione di genuini sapori che rappresentano una rarità in tutto il territorio.
I numerosi monumenti, le suggestive piazze e vie, i tanti vicoli che si snodano tra un’abitazione e l’altra, testimoniano una storia gloriosa, ricca di avvenimenti.
Da visitare la chiesa di San Nicola di Mira, certamente di origine bizantina. Formata da una sola navata retta su un’arcata centrale, sostenuta da strutture di legno. La volta di legno presenta una superficie decorata da bellissimi altari e con elementi decorativi di stucco in rilievo, certamente di stile barocco.
La pariglia è il piatto tipico del posto: si prepara friggendo peperoni con cipolla e strutto, si aggiungono pezzetti di carne di maiale, cacciagione e piselli, si fa rosolare il tutto; da parte si cuoce il riso, si amalgama il tutto e si serve caldo.
Cosa Vedere...
- Chiesa di San Nicola di Mira, certamente di origine bizantina. Formata da una sola navata retta su un’arcata centrale, sostenuta da strutture di legno. La volta di legno presenta una superficie decorata da bellissimi altari e con elementi decorativi di stucco in rilievo, certamente di stile barocco. Sul lato destro vi sono delle piccole cappelle: una dedicata alla Madonna Addolorata, con altare in marmo e ben decorata; e l’altra dedicata a San Pasquale con all’interno una statua lignea deteriorata a causa del terremoto del 1980. Nella sacrestia sono presenti due mobili d’epoca e sulla porta d’ingresso vi è una nicchia con all’interno una statua rappresentante la Madonna seduta col Bambino
Cappella di San Rocco. L’interno è formato da un altare (antistante alle statue di San Rocco) avente il muro di appoggio con decorazioni pittoriche che mostrano in prospettiva un baldacchino sorretto da colonne stilizzate in forme contorte. Il soffitto è ricoperto di pitture con al centro l’immagine del Santo che rappresenta la sua missione di taumaturgo per i malati di peste. La cappella fu decorata nel 1902 dal pittore Giuseppe Chiarelli proveniente da un paese della Calabria
Ruderi della Chiesa di Santa Cecilia di Castinatelli. Detto comunemente “la Badia”, il cenobio fu fondato nel 1022; i feudatari locali avevano il diritto di nomina dell’abate che aveva giurisdizione spirituale sul territorio circostante e sul Cenobio di San Nicola di Centola
Chiesa di Santa Maria Lauretana
Cappella della SS Annunziata e di Sant’Antonio da Padova. Nelle due cappelle private si possono ammirare opere su tela, statue lignee, calici scolpiti in ottone ed un ostensorio a raggiera con croce scolpita in legno
Cappella di Santa Maria ad Nivis, che ha una costruzione imponente, con uno stile architettonico tipico di una chiesetta di campagna. La sua origine è antica: la data 1450, a numeri romani, sull’architrave di pietra del portone, indica probabilmente l’epoca di costruzione della cappella. Sull’altare di marmo troneggia la nicchia con l’immagine lignea della Vergine col Bambino
Fontana Montemauro, Centopelli (il suo nome prese origine da una leggenda che narra della morte, nel luogo, di cento pecore) e Caprarizzi
Fontana a tre cannelle
Grotta del Mulinello
Sorgente del Malandrino, le cui acque hanno accertate proprietà terapeutiche
Chiesa della SS. Annunziata. In un reliquario d’argento conserva le spoglie di San Montano. Si presenta su pianta a croce latina. È formata da una grande navata, dal presbiterio, da un coro (posto dietro all’altare Maggiore) e da una piccola navata (sulla destra entrando) dalla quale si accede alla sacrestia. La sua costruzione risale al 1466. Ancora in buone condizioni vi sono tre affreschi situati in fondo alla chiesa, uno rettangolare grande riproducente la scena dell’Annunciazione ed ai sui lati due piccoli, di cui uno rappresenta San Vincenzo Ferrer e l’altro raffigura San Giovanni Battista che battezza Gesù Cristo nel fiume Giordano. Altri affreschi che troviamo nelle lunette al di sopra dei capitelli che sostengono l’abside rappresentano i quattro Evangelisti. In sacrestia vi è l’affresco con l’immagine di un santo frate con un giglio, raffigurante forse San Bernardino da Siena
Torre con l’orologio. Verso la metà del XVIII sec. fu installato l’orologio in piazza in una torre quadrata, che è alta più di tre piani. È datato 1826 Anno Domini. Questa data, che è in ceramica di Vietri, corrisponde alla data di un ammodernamento. Sopra l’iscrizione in ceramica vi è un motto in latino, racchiuso in un fregio. Il meccanismo originario era a pesi: grosse catene sostenevano enormi calibri che, con il loro saliscendi, azionavano il movimento delle sfere, che, a loro volta, facevano scattare dei percussori che davano i tocchi ogni quarto d'ora. Oggi il funzionamento è elettrico. La torre è a forma di campanile; si accede alle parti meccaniche da una porticina laterale munita di piccoli scalini. Da sempre è stata un simbolo; con il tempo, anzi, è diventato il monumento più importante del paese. Sul frontespizio è stata incastonata una lapide che ricorda i caduti della prima guerra mondiale
Scala Santa. È una cappellina costruita a modello di quella di Roma. È una delle tre nel mondo, l’altra è a Zara, in Ex Jugoslavia. La costruzione fu eretta, forse, da un marchese, Antonio Cammarano, al quale fu concesso dallo Stato Pontificio, di quel tempo, di erigere una Scala Santa per adempiere un voto.
Cappella di San Sebastiano; particolare di questa chiesetta è il campanile e la disposizione dell’entrata e dell’uscita
Cappella di Sant’Anna
Cappella di Sant’Antonio
Museo del giocattolo povero. È nato da un’idea di tre insegnanti, che guidarono i propri alunni nella ricerca dei giochi di un tempo, i quali, servendosi dei suggerimenti dei propri nonni, cercarono e trovarono, cercando in qualche caso di ricostruirli, i giochi che si facevano nel passato. Il museo ospita un gran numero di giochi, passatempi, strumenti musicali e sonori, giocattoli impropri, e rappresenta un legame inscindibile tra diverse generazioni, e, allo stesso tempo, riflette il pensiero degli anziani, i loro ricordi, il loro mondo interiore. Ogni pezzo è regolarmente catalogato e contiene l’indicazione del materiale usato per la costruzione, del metodo per la realizzazione e dell’uso che ne veniva fatto. Con la realizzazione del museo, è stato effettuato il recupero della memoria storica, di un passato non lontano, con la riappropriazione delle proprie origini
Storia...
Il toponimo deriva da San Montano. Antilia significa etimologicamente “davanti al sole”, ed infatti il Monte Antilia sul quale sorge è una delle vette cilentane più alte.
I primi insediamenti risalgono ad epoca non anteriore al 1000 d.C. Montano e le frazioni Abatemarco e Massicelle sorsero sulle rovine di un insediamento greco – bizantino, formandosi come tre villaggi agricoli medievali dediti allo sfruttamento del territorio. In origine l’abitato di Montano era costituito da abitazioni povere e semplici definite “pagliare”, case di fango e legno, pronte per essere abbandonate al minimo pericolo.
Nel 1500 fu sotto l’egemonia di Cuccaro Vetere e nel 1806 ottenne l’autonomia amministrativa grazie all’intervento di Gioacchino Murat.
Il paese era situato lungo la “via del sale”, che univa il litorale di Policastro – Roccagloriosa con l’Abbazia di San Nazario e con Cuccaro Vetere.
Massicelle e Montano appartennero alla famiglia dei Duchi di Monforte di Laurito. L’8 agosto 1811 i tre nuclei originari formarono un solo comune.
Le montagne del circondario brulicavano di briganti: Michelangelo Luongo, Pasquale Rosa, Gaetano d’Elia, Nicola di Benedetto e Pompeo Trivelli furono i più noti.
Molti amministratori contribuirono in proprio a “dar man forte ai briganti”. Nicodemo Bianco di Abatemarco, nel 1800, fu il primo, in ordine di data, di questi “galantuomini – predatori. Giuseppe Napoleone utilizzò tre battaglioni ed un grosso distaccamento di cavalleria. I briganti, dunque, non ebbero vita facile e, nel 1813 con le ultime repressioni effettuate dal generale Fouchon, furono definitivamente sconfitti.