Cosa Vedere...

  • Palazzi Gigliucci, De Feo
    Chiesa di San Felice con il campanile
    Fontana Vecchia con Arco
    Chiesa di San Domenica
    Cappella di Santa Maria delle Grazie
    Chiesa di Santa Sofia con il campanile tra i più alti del Cilento
    Cappella di Sant’Antonio da Padova
    Casa natale dell’artista Paolo De Matteis, grande pittore del 1600 ed allievo prediletto di Luca Giordano. È noto come Paoluccio della Madonnina per il suo aspetto fisico, basso e dalle membra minute e per la sua predilezione a dipingere la Madonna. Le sue opere più famose sono: La Madonna con Bambino (Napoli, Chiesa di San Giovanni dei Fiorentini); La Sacra Famiglia (abbazia di Montecassino); La Crocifissione (Napoli, il Duomo), Venere dormiente (Roma); Diana e le Ninfe (Londra); Erminia fra i pastori (Museo di Vienna)
    Murales che coprono le pareti esterne di molte abitazioni
    Chiesa di Sant’Elia, di origine basiliana
    Tempa dell’Arenola, luogo di apparizioni mariane nel 1952
    Museo della Civiltà Contadina, che raccoglie alcune testimonianze della cultura contadina legate in particolare alla coltivazione del fico; un museo spontaneo che esibisce gli oggetti raccolti, come attiva proposta di incontro con il visitatore. Si tratta di un Museo che cerca di incoraggiare la conoscenza del territorio agricolo cilentano, soprattutto nel ciclo di un prodotto, il fico, comunemente conosciuto come il pane dei poveri, altamente energetico e di uso comune nel Cilento contadino. Le cose viste all’interno del Museo è possibile viverle in modo diretto e partecipato anche all’esterno, attraverso percorsi che permettono ai visitatori di osservare direttamente le cose, i luoghi e le diverse caratteristiche botaniche e paesaggistiche
    Boschi di Scorzelle, Acciucchi, Selva Dei Santi, San Martino, San Ginito e Patrimonio
    Valloni Orria e Cerreto

Storia...


Si pensa che abbia avuto origine all’epoca della distruzione di Velia (VI sec. d.C.). Il suo nome è legato alla leggenda di un Duce Longobardo che, tornando dalla Calabria e dirigendosi verso Benevento, passò per la pianura di Casalvelino. Qui, non trovandovi il grano, che era stato già mietuto, si spostò sui costoni del monte Stella da cui vide, di fronte, i colli cosparsi di messi ed esclamò: “Horrea mea video (vedo i miei granai)”. Da qui il nome Horrea, trasformatosi poi in Orria.
La prima notizia certa di questo casale si ha nel 1496, quando è citato nel cedolario della Provincia come appartenente allo stato di Gioi. Nel 1532 vi abitavano 80 famiglia dedite all’allevamento ovino ed alla coltivazione dell’olivo e dei fichi. Fervida era anche l’attività di numerosi scalpellini, tradizione questa rimasta in auge ancora fino al secondo dopoguerra.
Abbondante doveva essere all’epoca anche la produzione di grano, se una leggenda narra di come Dio punì gli abitanti con una frana che portò via tutti i terreni fertili perché non osservavano il giorno di riposo festivo: solo l’intervento di San Felice salvò la popolazione dalla fame facendo arrivare dei commercianti arabi che portarono una quantità enorme di grano; essi avevano accettato come pegno un anello di diamanti, lo stesso che la popolazione conobbe appartenere alla statua del Santo, nella quale essi a loro volta riconobbero colui che li aveva contattati.
Certo è che alla fine del XVI sec. una grave carestia sconvolse il paese causando un rapido declino demografico, aggravato poi dalla peste del 1656. Per questi motivi non fu mai un feudo ambito e rimase marginale alle dinamiche dell’epoca.
La ripresa avvenne solo agli inizi del XVIII sec. quando si affermarono numerose famiglie gentilizie che misero a coltura molti terreni incolti o li sfruttarono con la pastorizia.

 

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